LA CORTE DI APPELLO Ha pronunciato la seguente ordinanza nella causa civile iscritta al n. 116/87 r.g. e vertente tra la Societa' anonime Solvay e Cie, con sede a Bruxelles (Belgio) e sede per l'Italia in Rosignano Solvay (Livorno) in persona del legale rappresentante, elettivamente domiciliata presso l'avv. prof. Pasquale Russo che la rappresenta e difende unitamente al prof. Paolo Barile, appellante, e l'Amministrazione dei Monopoli - Ministero delle finanze in persona del Ministro pro-tempore, rappresentato e difeso per legge dall'avvocatura distrettuale dello Stato di Firenze dove si domicilia, appellata. Causa: Solvay c/Amm. Monopoli e Amm. Finanze; Conclusioni: v. rispettivi atti di costituzione. Rel. Russo. Collegio: 6 luglio 1993. CONSIDERATO IN FATTO Con citazione notificata il 23 gennaio 1987, la Societa' anonime Solvay e Cie, con sede principale in Bruxelles, e sede per l'Italia in Rosignano Solvay, riassume un giudizio, iniziato nei confronti dell'Amministrazione dei Monopoli di Stato e dell'Amministrazione finanziaria dello Stato, con citazione davanti al tribunale di Firenze notificata il 28 agosto 1976, e concluso con sentenza in data 1 ottobre-25 novembre 1980, impugnata e parzialmente riformata da questa corte con sentenza in data 7 maggio-1 luglio 1982, annullata con rinvio dalla Cassazione con sentenza in data 30 aprile-12 novembre 1986. Oggetto della lite e' il canone dovuto all'Amministrazione dei Monopoli di Stato per l'estrazione del sale dalle miniere di Buriano e Ponte Ginori, di cui l'attrice e' concessionaria in perpetuo. L'attrice sosteneva, in principio, che l'onere del pagamento di tale canone era stato caducato dalla legge 5 luglio 1966, n. 519, che ha esonerato da qualsiasi carico fiscale il sale destinato all'industria. Sosteneva, ancora, che, comunque, dal 1 gennaio 1973, e grazie alle disposizioni della legge n. 10/1973, la quale aveva, tra l'altro, abolito il monopolio di vendita del sale, non vi era piu' spazio per l'autorizzazione all'estrazione del sale, e per il pagamento del canone contestato, e dichiarava di avere, da detta data, sospeso il pagamento. Concludeva chiedendo: 1) dichiarare non piu' dovuto, dalla data di entrata in vigore dalla legge 5 luglio 1966, n. 519, il canone versato all'Amministrazione dei Monopoli di Stato; 2) condannare l'amministrazione stessa alal restituzione del canone pagato; 3) dichiarare non ricorrenti le condizioni per la revoca dell'autorizzazione all'estrazione del sale. Le domande venivano disattese dal tribunale, e riproposte, nella stessa formulazione, in appello, ove venivano accolte in parte dalla Corte che dichiarava non piu' dovuto il canone contestato a far data dal 1 gennaio 1973, e condannava le Amministrazioni convenute alla restituzione delle somme per esso versate a detta data. A tale conclusione la Corte perveniva dopo avere definito il canone contestato come corrispettivo per la privativa del sale, sebbene strutturalmente diverso dai diritti di monopolio, e ritenendo che l'abolizione di ogni gravame fiscale sui prodotti salini, aveva provocato la caducazione del diritto dello Stato alla percezione del canone stesso. "In altri termini - spiegava conclusivamente la Corte - anche il concessionario di miniere di sale si viene a trovare nella stessa situazione degli altri concessionari, che sono liberi di utilizzare il materiale estratto, senza dover corrispondere allo Stato altri corrispettivi al di fuori del canone fissato per la concessione mineraria". Per quel che qui rileva, e' opportuno ricordare che nel corso di entrambi i gradi del giudizio l'attrice aveva prospettato questioni di legittimita' costituzionale che i giudici avevano ritenuto manifestamente infondate. Aveva, infatti, denunciato l'illegittimita' costituzionale dell'art. 3, n. 1, delle legge n. 907/1942: a) per contrasto con l'art. 3 della Costituzione, segnalando la disparita' di trattamento tra acquirenti per uso proprio e produttori di sale; b) per violazione del principio della riserva di legge, posto dall'art. 23 della Costituzione, mancando l'indicazione dei criteri per la determinazione del canone; c) per violazione dell'art. 53 della Costituzione, perche' il presupposto del canone era l'autorizzazione del monopolio che non poteva considerarsi indice di capacita' contributiva; d) per violazioni congiunte degli artt. 3, 23 e 53 della Costituzione. La sentenza della Corte veniva impugnata con ricorso principale dall'avvocatura dello Stato, per le amministrazioni convenute, e con ricorso incidentale dall'attrice, e veniva annullata con rinvio dalla Cassazione che riconosceva il persistente obbligo di pagamento del canone contestato, di cui negava la natura pubblicistica, e riconosceva la funzione di corrspettivo della concessione traslativa del diritto di proprieta' del sale e dei derivati diritti di utilizzazione. Riteneva, poi, non bene impostata la questione di legittimita' costituzionale prospettata dalla ricorrente incidentale con riferimento all'art. 43 della Costituzione, sostenendo che il monopolio del sale, in cui si iscrive il canone contestato, e' inammissibile o inidoneo a fornire causa al canone stesso. Rilevava, in proposito, che il canone costituisce corrispettivo della cessione del diritto di proprieta' del sale, e non di una facolta' oggetto di privativa. L'attrice ha riassunto tempestivamente la lite sostenendo l'illegittimita'costituzionale della norma giustificativa del canone in contestazione, perche' irrazionalmente discriminatoria tra concessionari di miniere, con assoggettamento dei concessionari di miniere di sale a trattamento deteriore. Ha sostenuto, in particolare, che la ratio giustificativa della discriminazione e' la tutela del monopolio di estrazione del sale, che e' cessato dal 1 gennaio 1973, a seguito dell'abolizione dell'imposta di consumo e del monopolio di vendita del sale. Se, tuttavia, dovesse ritenersi ancora esistente, tale monopolio sarebbe illegittimo perche' in conflitto con l'art. 43 della Costituzione. Ha spiegato, poi, domanda di ipotesi subordinata con cui ha chiesto dichiararsi la nullita' della convenzione in data 18 aprile 1956, con la quale sono stati definiti i criteri di calcolo del canone, e determinarsi, se del caso, l'ammontare del canone medesimo. Le amministrazioni convenute si sono costituite sostenendo l'irrilevanza o, comunque, la manifesta infondatezza della questione di legittimita' costituzionale desumibile dalla qualificazione e dalla funzione riconosciuta al canone contestato dalla sentenza di annullamento con rinvio. Hanno sostenuto anche l'inammissibilita', o, in ipotesi, l'improponibilita', in ragione dei naturali limiti del giudizio di rinvio, della domanda subordinata. Sono stati depositati i fascicoli di parte e dopo nove udienze, sono state precisate le conclusioni rimettendosi la causa al Collegio che dopo la sostituzione dell'istruttore, ed alcuni rinvii, anche per pendenza di trattative e per mancata comparizione delle parti, all'odierna udienza di discussione ne ha riservato la decisione. CONSIDERATO IN DIRITTO L'interpretazione dell'art. 3, n. 1, della legge 17 luglio 1942, n. 907, contenuta nella sentenza di annullamento con rinvio, offre fondamento al principio di diritto vincolante, su cui la riassumente radica la questione di legittimita' costituzionale. La questione e' prospettata in due formulazioni, la seconda delle quali non e' preclusa perche' scaturisce dalla norma vincolativamente interpretata, e non appare manifestamente infondata. La legge mineraria (r.d. 29 luglio 1927, n. 1443), assegna le miniere al patrimonio indisponibile dello Stato e le sottopone, con i beni che ne costituiscono pertinenza, alle disposizioni che disciplinano gli immobili (art. 22 del r.d. n. 1443/1927). Le miniere possono essere coltivate direttamente dallo Stato, ma, di regola, sono coltivate da privati, in forza di concessioni (art. 14 del r.d. n. 1443/1927) abilitanti ad estrarre le risorse a fini economici, attivita' in cui sfocia la coltivazione. Le concessioni di coltivazione mineraria sono temporanee o perpetue. Le prime si riferiscono a miniere concesse in coltivazione dopo l'entrata in vigore della legge mineraria (art. 21 del r.d. n. 1443/1927). Le altre si riferiscono a miniere gia' coltivate dai richiedenti in forza di titolo (concessione, investitura, proprieta'), all'epoca dell'entrata in vigore della legge stessa (artt. 53 e 54 del r.d. n. 1443/1927). I concessionari, a termine o in perpetuo, sono obbligati al pagamento di un diritto proporzionale annuo per ogni ettaro di superficie contenuto ento i limiti della concessione (art. 25 del r.d. n. 1443/1927). Nessuna prestazione di contenuto patrimoniale, e necessaria, e' dovuta a titolo di corrispettivo dei minerali estratti dai giacimenti in concessione, di cui lo Stato, concedente, e' proprietario. Solo in via eventuale, e con previsione da inserire negli atti di concessione (unico strumento di disciplina del rapporto), i concessionari possono essere obbligati a rendere il concedente partecipe agli utili (art. 18, lett. g), del r.d. n. 1443/1927). Il rinvio fatto alla disciplina degli immobili (art. 22 del r.d. n. 1443/1927), consente di ritenere che i materiali estraibili dalle miniere sono frutti naturali che entrano nel patrimonio dei concessionari appena separati dai giacimenti (art. 821 del c.c.). Si puo', allora, conclusivamente, affermare che le concessioni minerarie costituiscono, da sole, titolo idoneo e sufficiente a conferire ai concessionari il diritto di coltivare le miniere, separandone ed apprendendone i frutti. A tale ultime fine non e' necessario alcun atto abilitativo aggiuntivo alla concessione mineraria, e alcun pagamento aggiuntivo al diritto proporzionale annuo previsto dall'art. 25 della legge mineraria. La riassumente, Societa' anonyme Solvay e Cie, e' titolare delle concessioni minerarie di salgemma di Buriano e Ponteginori, assentitele in perpetuo, a norma dell'art. 54 del r.d. n. 1443/1927, come si legge nella parte narrativa della convenzione in data 18 aprile 1956, prodotta in copia (settima facciata). In precedenza, su tali miniere vantava diritti reali immobiliari acquistati con gli atti elencati nella citata convenzione. Puo' estrarre acque salse e sale allo stato solido, che utilizza nella propria produzione di soda, cloro e derivati (v. convenzione 18 aprile 1956, art. 8). La disciplina delle sue concessioni e' diversa da quella delle altre concessioni minerarie, perche' si conforma non solo alla legge mineraria, ma anche alla legge di tutela dei Monopoli di Stato (legge 17 luglio 1942, n. 907). L'art. 3, n. 1, di tale legge, come vincolativamente interpretato, assoggetta l'attivita' di estrazione del sale, in qualunque forma, esercitata in deroga al divieto monopolistico, ad autorizzazione dell'Amministrazione dei Monopoli, che ha natura di concessione traslativa del diritto di proprieta' del sale. La concessione si aggiunge alle concessioni minerarie, costituenti titolo soltanto per l'uso esclusivo degli immobili, secondo il giudice di legittimita'. E' onerosa, perche' e' rilasciata dietro pagamento di un canone, che si aggiunge al diritto proporzionale annuo di concessione mineraria, diritto che costituisce corrispettivo per l'uso esclusivo degli immobili, secondo la riferita opinione del giudice di legittimita', o, anche, prestazione con valore ricognitivo del diritto di proprieta', secondo il tribunale. Quale che sia l'esatta definizione del canone di concessione mineraria (e qui deve condividersi la prima per la forza vincolante della pronuncia che la contiene), e' certo che il diverso, ed aggiuntivo, canone di concessione di estrazione del sale e' autoritativamente determinato con decreto del Ministro per le finanze, sentito il consiglio di amministrazione dei Monopoli di Stato. La concessione dell'Amministrazione dei Monopoli, conferisce diritto alla coltivazione e all'estrazione dei frutti, e cioe' del sale o delle acque da cui viene estratto il sale, non essendo a tal fine sufficiente la concessione mineraria. Conseguentemente, conferisce il diritto di apprendere i frutti, che per tutte le altre miniere si acquista con la concessione mineraria gia' conseguita, e che con ogni ragionevolezza, costituisce anche il diritto di prevalente contenuto ed interesse patrimoniale, non solo per il concessionario ma anche per il concedente. Identici sono il trattamento e le condizioni, di esercizio e gestione, riservate dalla legge mineraria a tutti i concessionari di miniere, compresi i concessionari di miniere di salgemma. Il salgemma, detto anche halite, e', infatti, minerale, industrialmente utilizzabile, che il r.d. n. 1443/1927, accomuna a tutti gli altri minerali utilizzabili sotto qualsiasi forma e condizione fisica, nella previsione unificante degli artt. 1 e 2, e disciplina con criterio di uniformita' improntato al principio di uguaglianza negli artt. 14 e segg. La sovrapposizione della descritta disciplina del Monopolio dello Stato a quella delle concessioni minerarie, colloca la riassumente, concessionaria in perpetuo di miniere di salgemma, in posizione differenziata, e deteriore, rispetto ai concessionari delle altre miniere, perche' la assoggetta ad una prestazione patrimoniale (il canone) non dovuta dai predetti. Lo strumento previsto nell'art. 3, n. 1, della legge n. 907/1942, e cioe' la concessione traslativa dietro pagamento del canone, inteso quale corrispettivo del sale di proprieta' dello Stato, offre l'indispensabile supporto tecnico giuridico alla discriminazione, coerente con il sistema delineato dal giudice di legittimita', e formalmente perfetto. Ma non si sottrae al sospetto di illegittimita' costituzionale, prospettato dalla riassumente nella seconda delle due formulazioni illustrate nell'atto di riassunzione, mettendo in discussione, comunque, il Monopolio dello Stato. Nella prima formulazione, la questione, e' manifestamente infondata, se pure e' ammissibile, e non preclusa dalla sintetica trattazione dedicata al tema del monopolio dalla Cassazione, osservando che, in definitiva, un problema di legittimita' del monopolio non viene in evidenza perche' l'amministrazione trasferisce un diritto di cui, con il canone, chiede il pagamento, e non una facolta'. Sostiene la riassumente che il monopolio di estrazione del sale e' stato abolito in dipendenza dell'abolizione dell'imposta di consumo e del collegato monopolio di vendita, e che, percio', il canone contestato, non e' piu' dovuto. E' certo che l'abolizione dell'imposta di consumo non ha provocato la caducazione dell'onere di pagare il canone in contestazione che non e' imposta, ed, anzi, non si collega neanche al regime tributario, come ha precisato la Cassazione nella sentenza di annullamento con rinvio. E' certo anche che il monopolio statale di estrazione del sale, sia pure in forma di monopolio solamente industriale, e' sopravvissuto all'abolizione dell'imposta di consumo e del monopolio di vendita, disposta con d.l. 18 dicembre 1972, convertito nella legge n. 10/1973, in ottemperanza, tardiva, a direttiva comunitaria. La sopravvenienza appare anomala, per due ordini di considerazioni. Prima, perche' ha investito di funzione autonoma un monopolio concepito in origine come strumentale, o almeno prevalentemente strumentale, al monopolio di vendita. Poi perche' non sembra in armonia con le considerazioni ed i voti di chi, gia' venti anni fa, in sede di conversione del citato decreto-legge, segnalava l'incompatibilita' del monopolio sia con l'impegno, assunto nei confronti della Comunita' economica europea, di procedere al piu' presto alla abolizione dei monopoli minori, sia con la situazione economica e giuridica, e ne sollecitava la rapida abolizione (v. ad es. Atti Parlamentari: intervento del relatore nella seduta dal 20 dicembre 1972; intervento on. Sinesio nella seduta del 2 febbraio 1973). La difesa della riassumente, l'ha messa in discussione nell'atto introduttivo della presente fase, richiamando anche un parere (favorevole all'abolizione), a suo tempo espresso dal Consiglio di Stato in sede consultiva, ad istanza dell'Amministrazione dei Monopoli, e spiegando argomenti rannodantisi alle difese svolte nei precedenti gradi. Ma l'ha riconosciuta nell'ultima conclusionale, come dato ineluttabile (v. pagg. 22 e 23), confermato anche dalla recente normativa di privatizzazione dell'amministrazione autonoma dei Monopoli di Stato (d.l. n. 386/1991, convertito nella legge n. 35/1992, e deliberazione Cipe 18 febbraio 1993). In conclusione, la riserva monopolistica di estrazione del sale, e', sopravvissuta, non solo all'abolizione dell'imposta di consumo, ma anche all'abolizione della riserva monopolistica di vendita. E allora, e' inevitabile riconoscere la manifesta infondatezza della questione di legittimita' costituzionale proposta nella formulazione esposta, visto che il canone contestato si aggancia alla detta riserva, tuttore esistente ed operante nell'ordinamento, nonostante l'avvenuta abolizione dell'imposta di consumo e del monopolio di vendita. Va esaminata, ora, la seconda formulazione della medesima questione con cui si denuncia la discriminazione, a danno dei concessionari di miniere di sale, i quali, a differenza dei concessionari di tutte le altre miniere, sono obbligati, in forza dell'art. 3, n. 1, della legge n. 907/1942, a pagare il prodotto estratto. Non pare che la discriminazione possa ritenersi insussistente, o sottrarsi al sospetto di sostanziale irragionevolezza. Questo viene prospettato valorizzandosi il collegamento della concessione traslativa, e del canone a fronte di essa dovuto, con la riserva monopolistica, che si asserisce illegittima, e che, nel contesto, assume l'evidenza non ravvisata, e non ravvisabile, dal giudice di legittimita'. In Cassazione, infatti, e' stata dedotta l'inammissibilita' del Monopolio dello Stato e/o la sua inindoneita' a fornire causa al pagamento del canone contestato (v. controricorso pagg. 46-48). Ma non e' stato prospettato il negativo riflesso del monopolio, illegittimamente imposto e conservato, sulla razionalita' della discriminazione, attuata a mezzo di tale canone e della concessione cui si aggancia. Il canone e' dovuto dai concessionari di miniere di sale, quale corrispettivo, necessario e non eventuale, venendo, formalmente, collegato alla concessione di estrazione, perche' il sale e' coperto da riserva monopolistica. Dunque, con la concessione traslativa, presiede alla tutela della riserva monopolistica. Il collegamento della discriminazione alla funzione di corrispettivo di concessione traslativa, che il giudice di legittimita' assegna al canone, non ne esclude l'irrazionalita'. Questa deriva dalla finalita' di tutela della riserva monopolistica cui, concessione traslativa e canone discriminanti sono strumentali. Non pare irragionevole, sottolineare il collegamento tra l'art. 1 della legge n. 907/1942, che istituisce il monopolio di estrazione del sale, e l'art. 3, n. 1, della medesima legge che detta la disciplina denunciata. E' condivisibile l'affermazione secondo cui canoni (quale e' quello imposto dal citato art. 3, n. 1), autorizzazioni (quale e' nell'impropria definizione del testo normativo, la concessione in discussione) controlli, obblighi, attivita' di vigilanza della produzione, sono strumenti finalizzati alla conservazione della disponibilita' del prodotto monopolizzato. La finalizzazione si apprezza anche con riferimento al monopolio di produzione che, come quello di vendita, tende pur sempre alla massimizzazione del profitto del monopolista. In conseguenza, non pare errato riconoscere che la seconda norma e' strumentale alla prima. Vale a dire che la concessione traslativa del diritto di estrarre sale di proprieta' dello Stato monopolista, ed il canone a fronte di essa dovuto, sono finalizzati alla conservazione, alla gestione e alla tutela della riserva monopolistica di estrazione del sale. Tale riserva, all'epoca della legge n. 907/1942, che l'ha disciplinata, aveva finalita' anche industriali (oltre che fiscali), ed ora ha finalita', solo industriali. La funzione, strumentale alla tutela del monopolio, dell'art. 3, n. 1, della legge n. 907/1942, e della concessione dietro canone con funzione di corrispettivo, con questa norma imposto, e' ora contestata dall'avvocatura dello Stato, che nega qualsiasi collegamento tra canone e monopolio industriale (v. comp. cost. pag. 13, e, ultima conclusionale, pa. 14). Nella precedente fase di appello e in Cassazione, l'avvocatura aveva manifestato opinione diversa. Infatti, traendo anche argomento dalla legge istitutiva dell'Amministrazione autonoma dei Monopoli di Stato (r.d.l. 8 dicembre 1927, convertito in legge 5 dicembre 1928, n. 2474, art. 4) aveva sostenuto che il monopolio del sale e' finalizzato anche al procacciamento di entrate industriali (oltre che fiscali), nell'ambito delle quali trova collocazione il canone contestato (v. comp. concl. in appello, pagg. 12, in fine e 13, e ricorso per Cassazione pag. 34). E', allora, sostenibile, non impedendolo neanche la difesa dell'avvocatura, ora sintetizzata, che la ratio giustificativa della concessione, e del canone attraverso cui si realizza la discriminazione denunciata, riposa sulla necessita' di conservare, gestire, e tutelare il monopolio industriale di estrazione del sale, che lo Stato ha conservato, dopo, e nonostante, l'abolizione del monopolio di vendita. Occorre, ora, verificare se la riserva monopolistica e' esercitata nel rispetto delle condizioni legittimanti il monopolio, poste dall'art. 43 della Costituzione, e se e' idonea a giustificare, anche sul piano sostanziale, oltre che sul piano formale, l'obbligo di pagare il canone contestato, privandolo della connotazione discriminatoria denunciata. La riserva non sembra riferibile ad alcuna delle previsioni legittimanti poste dall'art. 43 della Costituzione. In conseguenza non sembra idonea a conferire razionale giustificazione alla discriminazione denunciata. Sicuramente non e' riferibile a fonte di energia, tale non essendo il sale e la sua produzione. Puo', ancora, escludersene la riferibilita' a situazione di monopolio in atto (quelle eventuali esulano dalla previsione della norma), per impedirne l'esercizio in danno degli interessi della collettivita' costituzionalmente protetti. L'estrazione del sale, infatti, non risulta, all'attualita' gestita (e neanche gestibile, sempre all'attualita', stante la riserva) da imprese o gruppi di imprese operanti come monopolisti sul mercato. Potrebbe riferirsi a servizio pubblico, sul rilievo che l'estrazione del sale riguarda bene di uso necessario, e di costo minimo per i singoli; la sua riserva alla mano pubblica consente il conseguimento di entrate destinate ad impieghi pubblici, e per tale via, persegue fini genericamente di utilita' generale, anche se poi, in concreto, le entrate non producono utili, e talora, anzi, non coprono neanche i costi, come e' accaduto, ad esempio, nel 1973 (v. dati riportati nel controricorso per cassazione della riassumente a pagg. 44 e 45). Quest'ultima circostanza puo' essere sottolineata, incidentalmente, perche' conferma il costante passivo di gestione riscontrato in tutti i monopoli statali non fiscali, e rivela l'antieconomicita' degli stessi che, percio', sono stati apprezzabilmente limitati con la citata disciplina di privatizzazione. Comunque, la destinazione a fini di generica utilita' generale integra motivo che, da solo, non pare idoneo a giustificare la riserva monopolistica dello Stato. E' insignificante, infatti, sul piano dell'apprezzamento dell'essenzialita' dell'attivita' riservata, costituente, a norma dell'art. 43 della Costituzione, criterio oggettivo di legittimazione della riserva monopolistica. L'essenzialita' e', notoriamente, di difficile individuazione, ma non pare errata l'opinione, ricordata anche nell'ultima conclusione della riassumente (v. pag. 25), che la collega all'irrinunciabilita', all'indispensabilita', all'assoluta necessita' di un dato servizio perche' rispondente, in un dato momento storico, a primari interessi della collettivita'. Di tale oggettiva connotazione non pare dotata l'estrazione del sale che puo' ritenersi rinunciabile e non necessaria, posto che e' finalizzata al conseguimento di un bene praticamente inesauribile, in un paese come il nostro circondato per la maggior parte dal mare, e, percio', disponibile in quantita' sufficiente ai bisogni della collettivita', e a costi tollerabili per i singoli e per la collettivita'. Del resto, la rinunciabilita', e dunque, la non essenzialita' della riserva statale di estrazione del sale, e' stata riconosciuta - prendendosi, evidentemente, anche atto della pregressa antieconomicita' della gestione - dalla recente e citata normativa di privatizzazione dell'Amministrazione autonoma dei Monopoli di Stato. Puo', inoltre, ritenersi riconosciuta, almeno per gli operatori che, come la riassumente, destinano il sale estratto in concessione alla propria produzione, anche dalla recente normativa di tutela della concorrenza e del mercato (legge 10 ottobre 1990, n. 287). Questa, in coerenza con la norma costituzionale (art. 43 della Costituzione), che detta criteri restrittivi di legittimazione delle riserve monopolistiche dello Stato, ha sancito il diritto alla autoproduzione. Ha, percio', escluso dall'area riservata, e riservabile, la produzione di beni o servizi "per uso proprio della societa' controllante e delle societa' controllate", sempre che non ricorrano motivi di ordine pubblico, sicurezza pubblica e difesa nazionale, e non sia coinvolto il settore delle telecomunicazioni (art. 9, primo e secondo comma, della legge n. 287/1990). Non pare errato, in conclusione, ritenere che: 1) il trattamento dei concessionari di miniere, compresi i concessionari di miniere di estrazione del sale, e' uguale per tutti, stante la previsione degli artt. 1, 2, 14 e segg. del r.d. n. 1443/1927, che accorpano tutte le miniere in unica categoria e le assoggettano a disciplina, informata al principio di uguaglianza; 2) i concessionari di miniere di estrazione del sale ricevono trattamento diverso; 3) tale trattamento e' deteriore per l'onere aggiuntivo che comporta (concessione traslativa contro pagamento di canone), e si collega a strumento normativo (art. 3, n. 1, della legge n. 907/1942) formalmente perfetto, ma finalizzato alla gestione, conservazione e tutela della riserva monopolistica di estrazione del sale (art. 1 della legge n. 907/1942), sopravvissuta alla abolizione, a suo tempo prevista, e nonostante l'abolizione della collegata riserva monopolistica di vendita del sale; 4) la sopravvissuta riserva monopolistica di estrazione del sale non appare riconducibile alla previsione legittimante dell'art. 43 della Costituzione, interpretato anche alla luce della produzione normativa successiva all'entrata in vigore della Costituzione in materia di privatizzazione dell'Amministrazione dei Monopoli di Stato e di tutela della libera concorrenza; 5) in conseguenza, non puo' ritenersi manifestamente infondato il sospetto dell'irragionevolezza del discriminato trattamento dei titolari di concessioni minerarie di estrazione del sale, siccome collegabile al rilevato fine di tutela di riserva monopolistica, esercitata in condizioni che non ne escludono l'illegittimita' in maniera manifesta. Giustificata, pertanto, appare la trasmissione degli atti alla Corte costituzionale per la verifica della legittimita' costituzionale della razionalita', con riferimento al principio di uguaglianza sostanziale (art. 3 della Costituzione), del trattamento differenziato dei concessionari di miniere di estrazione del sale imposto dall'art. 3, n. 1, della legge n. 907/1942, a tutela della riserva monopolistica dello Stato, esercitata a norma dell'art. 1 della legge n. 907/1942, e conservata anche dopo l'abolizione del monopolio di vendita del sale, nell'apparente assenza delle condizioni legittimanti poste dall'art. 43 della Costituzione. La questione e' rilevante perche' dalla sua decisione dipende l'accoglimento o la reiezione della domanda con cui la riassumente ha chiesto dichiararsi non dovuto, a far data dal 1 gennaio 1973, il canone contestato, e condannarsi le amministrazioni convenute alla restituzione dei canoni pagati. E' opportuno aggiungere che le attivita' riservate al Monopolio dello Stato, sono precluse all'iniziativa economica privata. La legittimita' costituzionale delle riserve monopolistiche va apprezzata con riferimento all'art. 43 della Costituzione. Non pare possa essere apprezzata anche con riferimento all'art. 41 della Costituzione, che detta le condizioni di legittimita' degli interventi limitativi, piu' o meno intensi, dell'iniziativa economica privata. Nella specie si deduce, nei termini esposti, l'illegittimita' della riserva monopolistica dello Stato sulle attivita' di estrazione del sale, e della totale sottrazione di tali attivita' all'iniziativa economica privata. Non pare, in conseguenza, deducibile l'illegittimita' della riserva stessa anche con riferimento all'art. 41 della Costituzione, senza, contradittoriamente, negarne la forza totalmente preclusiva, e riconoscerne la diversa forza limitativa, sia pure dotata di elevata capacita' di penetrazione. Del resto, la discriminazione denunciata si riconduce a strumento normativo di intervento totalmente preclusivo dell'iniziativa privata, quale e' la legge a tutela della riserva monopolistica di estrazione del sale, e il referente costituzionale della legittimita' di tale intervento puo' essere solo l'art. 43 della Costituzione. Per queste ragioni, se la valorizzazione dell'eccessivita' del canone imposto, e dei sintomi rivelatori dell'arbitrarieta' della sua determinazione, fatta nell'ultima conclusionale, sono finalizzate alla prospettazione di ulteriore questione di illegittimita' costituzionale riflessa del trattamento differenziato dei concessionari di miniere di sale, con riferimento all'art. 41 della Costituzione, e allora deve, ragionevolmente, concludersi per l'inammissibilita' della questione. Le questioni poste con le domande di ipotesi, compresa quella sull'ammissibilita' di tali domande e sugli intrecci di esse con il diritto comunitario (art. 86 trattato C.E.E.), oltre che sulla competenza interpretativa pregiudiziale della Corte di giustizia della Comunita' europea, in ordine al diritto stesso, vanno riservate al prosieguo. Sono, infatti, dotate di rilievo ed interesse solo eventuali, e per il caso di mancato accoglimento della domanda di tesi su cui potra' essere emessa pronuncia di merito a seguito della decisione della Corte costituzionale.